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Bona Via!: la genesi del fumetto sulla Via Francigena

Mi chiamo Valerio Barchi, ho 36 anni e faccio il fumettista.

Come per molti di voi, la mia prima esperienza sulla Via Francigena è stata una tappa fondamentale nella mia vita.

Era il 2017, avevo appena perso un lavoro come operatore di call-center, ed ero nuovamente senza alcun riferimento. Su suggerimento di mia sorella ho raggiunto in pullman Aosta, da Roma, e da lì in autostop fino al Gran San Bernardo. Totalmente impreparato, mi sono girato, e ho cominciato a camminare.

L’esperienza del cammino la conosciamo tutti: l’euforia dei primi chilometri macinati, le vesciche come conseguenza dell’eccessiva euforia, i traguardi man mano raggiunti: Aosta, la valle che piega finalmente verso sud, i primi passi in Pianura Padana. L’illusione che in pianura camminare sarà più facile e invece devi fare i conti con un assetto che non cambia mai e grava su schiena e talloni, l’asfalto che brucia, le zanzare delle risaie che non ti danno tregua. Ma a quel punto l’hai già capito: non saranno i dolori, l’asfalto né le zanzare a farti smettere. Hai capito che un cammino è diverso dalla scampagnata domenicale: come nella vita, le difficoltà non si possono raggirare. Vanno affrontate e superate.

Non è facile descrivere un cammino a parole. Si parte che ancora il cervello è in tutto collegato alla quotidianità in cui è stato immerso per mesi, anni. I primi giorni di cammino si è ancora legati alla vita come la conosciamo, alle certezze in cui ci immedesimiamo. Si rimane affascinati dai paesaggi, si scoprono nuovi borghi, città d’arte, si sentono parlare i dialetti diversi. Ma è ancora quel cervello che elabora.

In più ci sono i dolori, le gambe che ancora non hanno preso il ritmo, lo zaino pieno di tutto ciò che abbiamo portato perché “non si sa mai”. Entri a Vercelli, cittadina che improvvisamente ti sembra una metropoli, tanto è il tempo che hai passato in solitudine nelle campagne.

Sì, perché il tempo ha cominciato a scorrere diversamente. Se guardi il calendario è passata una settimana da che sei partito, eppure i conti non tornano. Una settimana? Come è possibile? A casa, una settimana sembra passare molto più rapidamente.

Ma non sei a casa, stai attraversando un mondo nuovo. Lentamente. Ogni ora che passa è fatta di minuti, e tu questi minuti li stai vivendo tutti. Il tempo è un nuovo concetto.

La distanza è un nuovo concetto: adesso sai veramente quanto è grande la Pianura Padana, hai conosciuto metro per metro lo spazio tra le Alpi e il Po. Credevi di saperlo, in macchina l’hai percorso tante volte quello spazio, e adesso ti rendi conto che non l’avevi mai conosciuto. Arrivi al Po, Piacenza, Fiorenzuola, Fidenza. Cammini per le strade e vedi i turisti; anche tu sei un turista, ma senti che non siete la stessa cosa. È quasi come se tu stessi in una missione. Hai lavato i panni, ti sei curato i muscoli, giri per la città e sei concentrato. È iniziata la magia.

Da questo momento quella magia non ti lascerà più. Sarà tutta intorno a te quando lasci la pianura e risali le colline, che chilometro dopo chilometro diventano più alte, più selvagge. Cassio, Berceto, il Passo della Cisa che quando eri ad Aosta e ci pensavi, eri convinto che sarebbe stato il momento in cui avresti cominciato il tuo conto alla rovescia verso Roma ma adesso non è piu così, non esiste il pensiero di dove sarai tra qualche settimana, esiste soltanto il momento in cui sei ora. Non ha senso pensare “tra 20 giorni” perché i 20 giorni adesso non hanno piu il significato che hanno sempre avuto. Sei in Toscana, anzi in Lunigiana, e dalle dense foreste vedi il mare e ti commuovi, scendi dolcemente verso la pianura della Versilia.

Man mano che ti addentri in Toscana le giornate solitarie diventano giornate condivise, sempre piu pellegrini aggiungono la loro storia alla tua: chi è stato piantato dalla ragazza, chi aveva i giorni di ferie contati, chi vuole staccare dal mondo, chi vuole semplicemente sciogliere per bene le gambe. Superato l’Arno la Toscana diventa quella delle cartoline, Lucca, la Val d’Elsa, il Chianti, ma allora perché, perché, quel papavero rosso lungo una roggia in Lomellina ti ha dato la stessa, forte emozione che provi ora guardando queste colline di vigneti e cipressi lungo le strade? Perché mi avevano detto che la bellezza sta nella grandiosità delle cattedrali, e non anche in una cascina abbandonata nel sole della Pianura Padana?

Quanto è passato da quando sono partito? Boh. Chi lo sa più. Non mi dà più alcun piacere ricordarmi il giorno 1 e farmi i calcoli su quanto ho camminato. Aver camminato un mese o un anno o cinque non fa più alcuna differenza. Quello che sì mi fa piacere ricordare, è quel vecchietto a Pont Saint Martin che mi ha regalato il suo bastone da passeggio, visto che su asfalto con quelle vesciche non riuscivo a fare due passi di seguito. O quella signora in quella frazione fuori Mortara, che mi ha regalato una busta piena di frutta, acqua e un caffè. O quella cantina a Badia Pozzoveri, che ero andato per farmi mettere mezzo litro di bianco nella borraccia e me ne ha invece lasciato un litro e mezzo, offerto dalla casa, vista “l’impresa che stavo facendo”. E ancora: tutti quei murales, sculture, targhe fatte da bambini, a tema francigena. Tutti quei “quaderni del pellegrino” che si trovano sparsi su tutto il percorso tra le montagne, le pianure, i borghi. Tutti quei punti ristoro che delle anime generose mettono a disposizione di chi cammina, sotto casa, vicino a una panchina.

No, non stai camminando da solo. Insieme a te camminano tutti quelli che ogni giorno vedendo pellegrini passare, coi loro zaini, i loro bastoni, sognano di unirsi un giorno a questo flusso delicato e ininterrotto, magari anche solo per fare qualche tappa. Non sei da solo a camminare. Fai parte di qualcosa di più grande di te, e stando a casa, troppo spesso questa cosa te la scordi. Ormai è festa tutte le sere, perché di giorno sei te il tuo bastone e il tuo zaino, ma di sera ritrovi tutti al punto d’accoglienza, e si festeggia che anche oggi è stata una lunga, memorabile giornata. Sei già in Tuscia, e tra un piatto di pici e un moscatello di Montefiascone, torna la nozione di tempo. A tutto c’è una fine, anche a questo lungo cammino. Ma quando un viterbese ti fa notare che per arrivare a Roma ci vuole un’ora e mezza, due se c’è traffico, pensi che non ha senso: da Viterbo a Roma ci sono 80 chilometri, e 80 chilometri si fanno in cinque giorni. In un’ora e mezza si manca di rispetto a tutto quello che c’è in mezzo.

E poi, arrivi. Da romano, se arrivi a Campagnano sai che stai praticamente alle porte di Roma. La Storta è un quartiere come un altro, a venti minuti di macchina da casa tua. Passi sopra il GRA, attraversi il silenzio dell’Insugherata quasi come fosse un personale addio a tutti i silenzi che ti proteggevano nei boschi e nelle campagne. Entri a Monte Mario, sali su, e per quanto vabbè ormai stai a Roma, ormai è finita, arrivi alla terrazza panoramica e vedi il Cupolone.

Non eri preparato. Guardi la cupola, ma vedi la fine del cammino. La fine di un’esperienza che, la maggior parte del tempo, credevi sarebbe andata avanti per sempre. Guardi la cupola e vedi i talloni e gli alluci gonfi di vesciche, i cerotti che ti sei cambiato mentre eri seduto sul guardrail, quei dieci giorni consecutivi di pioggia a secchiate da Garlasco ad Aulla, la routine di lavare a mano maglia, calzini e mutande e quella routine da domattina non ci sarà più. Domattina non ti spalmerai la vasellina sui piedi, non arrotolerai il sacco a pelo, non studierai la mappa, non farai colazione in un baretto nuovo. È tutto finito, lo sapevi, e non te l’aspettavi. Dormirai su un materasso comodo, farai le lavatrici, metterai abiti decenti. È finita, e vorresti non fosse mai finita.

Mi chiamo Valerio, e faccio il fumettista. Ma non è sempre stato così. Al momento in cui ho affrontato il cammino, nel 2017, venivo da una breve, grigia parentesi di call center preceduta da 12 fantastici anni consecutivi in giro per il mondo. Da quando ho finito il liceo ho cambiato una quantità smisurata di lavori di tutti i tipi, da manovale a barista a bracciante artigiano di strada. Mai avevo fatto qualcosa di artistico, ma una cosa la sapevo: un giorno vorrei poter raccontare storie. Sarebbe bello.

Il contratto non rinnovato al call center è stata una di quelle cose negative che si scoprono essere l’inizio di qualcosa di positivo se non stai lì fermo a buttarti giù. La classica porta che si chiude affinché si apra il portone. Ho preso e ho fatto la Francigena. Lì ho capito due cose. Uno: basta lavori del cazzo, e due: fosse arrivato il momento di provare a raccontare storie?

Appena tornato, disegnai delle vignette umoristiche ambientate sulla Francigena, il cui protagonista era un goffo, cinico Sigerico. Ancora non era nata in testa mia l’ipotesi di disegnare fumetti, tanto è vero che dopo pochi mesi ero a Taiwan a studiare cinese. Disegnai quelle vignette per fare uscire quelle frivole situazioni dalla mia testa e metterle su carta. Quando, due anni dopo, mentre iniziavo a muovere i primi passi nel disegno e nel fumetto, mi misi a cercare quelle vignette, non le trovai. Erano finite nella spazzatura con tutto il blocchetto e tanti appunti che buttai perché alla fine non sapevo che farmene. Cercai di ricostruirle a memoria, le ridisegnai e le inviai a Luca Faravelli e Sami Tawfik del team dell’AEVF, “se vi fanno piacere tenetele”. Le loro parole di apprezzamento verso quelle vignette per me, che ero ancora un infante nel fumetto, furono un grosso stimolo a proseguire per questa strada. Ho imparato a disegnare, ho imparato l’acquerello, ho messo su le mie prime storie a fumetto. In quell’anno un po’ particolare che è stato il 2020, in cerca di idee su quale potrebbe essere la prossima storia, ho ipotizzato di voler raccontare a modo mio la Via Francigena. La mattina prima del mio bus per Aosta, era la prima metà di agosto, piovigginava, mi sentii col direttore dell’AEVF, Luca Bruschi, per capire se in qualche modo all’Associazione potesse far piacere che nascesse un progetto del genere. L’entusiasmo di Luca mi ha tolto ogni dubbio che potessi avere, il ginocchio gonfio, i pochi soldi che mi erano rimasti sul conto.

Camminare documentando non è come camminare a cuor leggero. È completamente diverso. Cammini con uno scopo, e per questo scopo devi fotografare, appuntare, capire se questo scorcio, dovesse diventare una vignetta, sarebbe meglio da questa o quest’altra angolatura. Appena vivi un momento di condivisione con uno sconosciuto il cervello calcola subito se è buon materiale per la storia, o se magari è stato intenso per te ma raccontarlo non rende, e quindi lasciarselo dietro. E ti rode, perché sai che il cervello dovrebbe solo godersi quel momento, senza calcolare, senza giudicare.

Ho ripercorso nel 2020 quindi l’intero itinerario dal Gran San Bernardo a Roma, e non è stata quell’esperienza quasi mistica che fu tre anni prima – ma sono grato di averla fatta. In quel mese e mezzo ho dipinto moltissimi sketch in modo da cominciare a capire che stile vorrò usare nel fumetto.

Sono tornato a Roma con taccuini pieni di spunti, con due SD card piene di foto. Mi sono messo subito al lavoro: prima l’idea della storia e dei personaggi, poi la documentazione sui posti attraversati, il soggetto, la sceneggiatura, lo storyboard. Con lo storyboard mi sono reso conto che non sarebbe venuto un fumettino inconsistente: la pretesa era non solo di narrare una storia, ma anche di raccontare qualcosa della grande varietà culturale dei luoghi attraversati. Questo significava che non me la sarei cavata con pochi mesi. Ma ora avevo una storia, e bisognava farla diventare un fumetto.

Vivendo in camper, disegnare a mano ed acquerellare si è rilevato da una parte più complicato rispetto alla comodità di uno studio, da una parte decisamente più divertente. Guardavo il Tagliamento mentre disegnavo Aulla, i miei pellegrini brindavano sul Lago di Bolsena mentre dal finestrino vedevo un uliveto del Salento.

È passato un anno e mezzo da che ho cominciato a buttare giù la storia. I ritmi di lavoro sono stati pazzeschi: in media, mi sono preso un giorno di riposo ogni tre settimane. Ma tutto quello che volevo era far uscire questa storia: e ce l’ho quasi fatta. Sarà un’autoproduzione, quindi mi occuperò personalmente di tutte le fasi successive, dalla stampa alla promozione alla distribuzione. Un volume di 340 pagine, intitolato Bona Via!

Per affrontare le spese di stampa ho lanciato una campagna di crowdfunding. Attraverso questa campagna si potrà ordinare da subito la copia firmata, dando a me la possibilità di finalizzare questo progetto. Il fumetto uscirà in primavera, perché in primavera si ha voglia di uscire dal letargo e ricominciare a vivere.

C’è una cosa che i tanti anni di viaggio mi avevano suggerito ma che non avevo mai provato: viaggiare a piedi è la sublimazione del viaggio. Non esiste viaggio che non dia al percorso la stessa dignità che ha la meta stessa. E per quanto a muoversi con mezzi pubblici, treni e bus, specialmente nel terzo mondo, si fanno esperienze di grande valore, non si può comparare il viaggio motorizzato al viaggio a passo d’uomo. È a quella velocità che il nostro cervello è predisposto a funzionare al massimo. È a quella velocità che diamo allo spirito il tempo necessario per crescere con consapevolezza.

 

Cosa vuole un pellegrino? Acqua, ombra quando fa caldo, sapere la direzione. Basta.

Contatti
Facebook: jabon.delchivo
Instagram: @valerio.barchi

 

Valerio Barchi
Valerio Barchi
Valerio Barchi nasce a Roma nel 1985. Terminato il liceo scientifico inizia un vagabondaggio che lo tiene fuori da casa per 12 anni, attraverso Europa, Asia e Australia, sostenendosi come può – postino in Olanda, figurante a Mumbai, Hanoi e Bangkok, cameriere a Istanbul, bracciante in Australia, barista a Shanghai, artista di strada a Taiwan. A 31 anni torna a Roma dove si accosta per la prima volta al disegno. Scopre la tecnica dell’acquerello e comincia a creare storie a fumetti autoprodotte con cui poter esprimere il bagaglio mentale accumulato negli anni di vita nomadica. Sperimentando inizialmente con pennino e pantoni (Ben fatto, Slavini!, brevi storie autoconclusive), passando per il digitale (Ginostra guarda al tramonto, Fumetto BOH), sceglie l’acquerello per la creazione del suo fumetto più impegnativo, Bona Via!, interamente ambientato sulla Via Francigena. Dal 2020 vive itinerante per l’Italia, approfondendone storia e costumi, vivendo e scrivendo fumetti in un vecchio motorhome dell’89.
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