Via Francigena

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Jumelage entre le Chemin de Saint Jacques de Compostelle et la Via Francigena

C’est la proposition du Président de l’Association Européenne des Chemins de la Via Francigena à l’inauguration du Festival « REMOVER ROMA CON SANTIAGO » organisé à Rome, par l’ambassade d’Espagne.

Le 2 octobre, le Festival « REMOVER ROMA CON SANTIAGO » a été inauguré au prestigieux siège de l’Académie d’Espagne à Rome. Un programme rempli de rendez-vous culturels, d’art, de musique, de théâtre, de cinéma qui permet de parcourir le Chemin de Saint Jacques de Compostelle à travers les expressions artistiques de personnages importants de la scène culturelle espagnole.

Pendant un mois, les lieux les plus représentatifs de la culture espagnole qui résident à Rome, la Real Academia de España, l’Institut Cervantes et la Escuela Espanola de Historia y Arqueologia, accueilleront une série d’évènements sur ce thème. « Remover Roma con Santiago » est le titre de la première édition qui veut faire connaitre le travail d’artistes provenant des régions espagnoles traversées par le Chemin de Saint Jacques.

L’Association Européenne des Chemins de la Via Francigena a été invitée à l’évènement, cette dernière l’a parrainé  et le Président Massimo Tedeschi a participé à la cérémonie d’ouverture. A l’inauguration sont intervenus : le maire de Saint Jacques de Compostelle Martino Noriega, l’assesseur régional à la Culture de Galice Roman Rodriguez, le président de la Commission Tourisme et Relations Internationales de la Commune de Rome Carola Penna.

« Penser, en partant de la belle initiative Remover Roma con Santiago, à un projet de coopération et d’échange dans le domaine du tourisme culturel (mais pas seulement) entre les deux destinations, les deux Régions, les deux Pays – Saint Jacques et Rome, Galice et Latium, Espagne et Italie – qui fasse connaitre le Chemin de Saint Jacques à Rome et la Via Francigena à Saint Jacques. Je pense que c’est une idée géniale et visionnaire, comme l’a été le lancement du programme des Itinéraires Culturels du Conseil de l’Europe à Saint Jacques il y a 30 ans de cela. Parfaitement cohérent avec l’amitié entre les Pays Européens et parfaitement conforme avec les objectifs de paix, de démocratie et de dialogue du Conseil de l’Europe et de ses itinéraires culturels » a dit le Président Massimo Tedeschi.

Luca Bruschi

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Gemellaggio tra Cammino di Santiago e Via Francigena

E’ la proposta del Presidente dell’Associazione Europea delle Vie Francigene alla inaugurazione del Festival “REMOVER ROMA CON SANTIAGO”  organizzato a Roma dall’Ambasciata di Spagna.

Il 2 ottobre è stato inaugurato nella prestigiosa sede della Accademia di Spagna a Roma il Festival REMOVER ROMA CON SANTIAGO, un ricco programma di appuntamenti di cultura, arte, musica, teatro, cinema che permette di ripercorrere il Cammino di Santiago attraverso le espressioni artistiche di importanti protagonisti della scena culturale spagnola. 

Per un mese esatto, i luoghi più rappresentativi della cultura spagnola con sedi a Roma, la Real Academia de España, l’Instituto Cervantes e la Escuela Espanola de Historia y Arqueologia, ospitano una serie di eventi sul tema.  “Remover Roma con Santiago” è il titolo della prima edizione che vuol far conoscere il lavoro di artisti provenienti dalle regioni spagnole attraversate dal Cammino di Santiago. 

All’evento è stata invitata l’Associazione Europea delle Vie Francigene che ha patrocinato l’evento ed ha partecipato alla cerimonia di apertura con il Presidente Massimo Tedeschi. All’evento inaugurale sono intervenuti il Sindaco di Santiago di Compostela Martino Noriega, l’assessore regionale alla Cultura di Galizia Roman Rodriguez, la presidente della Commissione Turismo e Relazioni Internazionali del Comune di Roma Carola Penna.

Pensare pertanto, partendo dalla bella iniziativa REMOVER ROMA CON SANTIAGO, ad un progetto di cooperazione e di scambio nel campo del turismo della cultura (ma non solo) fra le due mete, le due Regioni, i due Paesi – Santiago e Roma, Galizia e Lazio, Spagna e Italia – che faccia conoscere il Cammino di Santiago a Roma e la Via Francigena a Santiago, ritengo sia una “idea geniale e lungimirante”, come lo fu 30 anni fa il lancio del programma degli Itinerari culturali del Consiglio d’Europa a Santiago. Perfettamente coerente con l’amicizia fra i Paesi europei e perfettamente in linea con gli scopi di pace, democrazia e dialogo del Consiglio d’Europa e dei suoi Itinerari culturali” ha detto il Presidente Tedeschi.

Luca Bruschi

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La Via Francigena nei secoli. Storia di pellegrini, osterie e vino.

La via Francigena parte da Canterbury, in Inghilterra, e, attraverso la Francia, la Svizzera e l’Italia arriva fino a Roma. Attraverso l’Italia, durante il Medioevo, passavano le maggiori vie di comunicazione del Mediterraneo, e fino alla caduta nel XIV secolo di San Giovanni d’Acri, ultimo baluardo crociato in Oriente, il punto di arrivo della via Francigena erano Brindisi e le coste pugliesi per imbarcarsi per Gerusalemme. Alla fine di questo secolo, Gerusalemme fu definitivamente sostituita da Roma come meta principale di pellegrinaggio, e chi si impegnava ad andarci, prendeva il nome di “Pellegrino Romeo”. Il viaggio del pellegrino, che in linea teorica andava fatto a piedi, era tutt’altro che facile. Prima di mettersi in cammino il pellegrino si riconciliava con tutti, faceva testamento e, fatto assai più raro, pagava i propri debiti. Escludendo i rischi derivanti da una società tendenzialmente violenta ed anarchica come quella medievale, dove non era raro incontrare lungo il cammino gruppi di briganti e bande armate, le maggiori insidie derivavano soprattutto dalla spossante fatica delle lunghe marce attraverso luoghi aspri e selvaggi come i valichi Alpini e Appenninici, e naturalmente, dalla fame. Tuttavia lungo la strada, soprattutto  in determinati luoghi come chiese e monasteri, l’ospitalità non mancava ed era di casa. Si può avere un interessante resoconto di questa vita negli scritti di Sigeric da Canterbury, prelato inglese ed arcivescovo dell’omonima città, vissuto a cavallo del X secolo d.C, narrante il viaggio di ritorno da Roma, dopo aver preso il paramento liturgico direttamente dalle mani di papa Giovanni XV.

La descrizione del viaggio è molto precisa soprattutto per quanto riguarda i punti di sosta, dove i pellegrini si rifocillavano, riposavano e si scambiavano racconti ed informazioni sulla strada da percorrere. In questo resoconto si fa anche riferimento al vitto, prevalentemente a base di pane, zuppe di verdure stagionali (insaporite, quando si era fortunati, da qualche pezzo di carne o lardo di maiale) e pesce bollito. In questi racconti si intravede come il cibo non si identifichi con il solo bisogno fisiologico di sostentarsi, insito in ogni creatura vivente, ma come sia anche espressione culturale dei vari luoghi e paesi lungo il cammino, simbolo di ospitalità e condivisione umana. Attraverso il cibo e ai riti legati ad esso, si può comprendere in larga parte lo spirito e la cultura che pervadono in Italia il cammino della Via Francigena.

Cosa mangiava il pellegrino nel Medioevo?
E’ difficile immaginarsi cosa mangiassero i pellegrini della via Francigena nel Medioevo, al tempo in cui l’ Italia non era ancora stata inondata dal pomodoro. Poi bisogna immaginarsi che i gusti e le preferenze di questi pellegrini potessero essere molto più eterogenei di quanto siano oggi, e che sfamarli potesse essere un’impresa tutt’ altro che banale per l’ oste. Mentre potrebbe sembrare ragionevole che al giorno d’oggi un Inglese, un Francese e un Italiano possano accordarsi su cosa significhi “pasta al dente” sulla base di Wikipedia e altri catalizzatori di conoscenza senza frontiere, nel Medioevo uno cresceva con poche certezze trasmesse verbalmente di generazione in generazione. D’ altra parte ci si potrebbe anche sbagliare completamente in questa analisi. Il concetto di nazione è una delle oscenità del secolo ventesimo, forse diciannovesimo. Prima dell’ avvento della televisione i contadini della pianura padana non sapevano nemmeno cosa fosse la pizza. Ma rimaniamo fedeli al primo punto di vista, che i gusti e le preferenze alimentari dei pellegrini della via Francigena potessero essere molto più eterogenei al tempo. Per esempio, ammettendo che nella zona di Parma già fosse in uso di cospargere di parmigiano qualsiasi pietanza, è difficile che un atteggiamento del genere potesse essere tollerato a Brindisi. Probabilmente i pellegrini Inglesi erano gli unici felici allora, tanto quanto adesso, di lasciare l’ Inghilterra e assaggiare pietanze un po’ più sofisticate e gustose di quanto ne  fossero disponibili sull’ isola.

Ma i Francesi? I Francesi sono interessanti,  perchè al giorno d’ oggi è quasi impossibile trovare un Francese fuori dalla Francia. Che forse si vedessero più Francesi fuori dalla Francia nel Medioevo? Chi lo sa. E gli Italiani? Se i pellegrini Italiani della via Francigena si limitassero a dirigersi a Roma per motivi spirituali come sostengono, in teoria non avrebbero bisogno di lasciare l’ Italia. Di fatto, la via Francigena provocava e provoca un enorme riflusso di Italiani per il mondo, in cerca di amore o altro. Perché ci sono più Italiani che Inglesi a Londra? Ma non vorrei divagare troppo su temi che potrebbero sembrare secondari. Quindi, torniamo più vicini al nostro punto di partenza per non perdere il filo del discorso.
Il cibo dei pellegrini lungo il cammino doveva essere facilmente conservabile e strettamente legato alla stagionalità. Quando si fermavano per rifocillarsi chiedevano ospitalità o alloggiavano presso le locande, nelle quali si sfamavano in base alle disponibilità economiche. Il cibo che si serviva era molto salato, sia per essere meglio conservato, sia in modo da indurre molta sete nei viandanti, così che l’oste potesse vendere una maggiore quantità di vino. All’osteria come per il viaggio, i pellegrini preferivano dissetarsi proprio con il vino: l’acqua poteva essere inquinata e dannosa per la salute mentre il vino, anche se di cattiva qualità, conteneva l’ alcool, che garantiva una certa asetticità. La tipica alimentazione del pellegrino era a base di zuppe come ad esempio: la paniccia a base di cereali e legumi, il macco, una vellutata fatta con legumi secchi, ma anche salumi e formaggi. L’alimento più consumato era il pane, soprattutto la sua variante nera, fatto con grano tenero, segale, orzo, crusca di frumento, farina di fave e di castagne. La prima testimonianza scritta di una ricetta per pellegrini risale al XV secolo quando un cuoco di origine tedesca, Giovanni Bockenheym, scriveva nel suo ricettario: “Prendi le fave, lavale bene in acqua calda e lasciale così tutta una notte. Poi falle bollire in acqua fresca, tritale bene e aggiungi vino bianco. Condisci con cipolla, olio di oliva o burro, e un po’ di zafferano” – questo piatto – “sarà buono per i chierici vaganti e per i pellegrini”. Un altro alimento diffuso soprattutto quando il pellegrino veniva ospitato nelle case private era il Pulmentum. Questa specie di minestrone era fatto con verdure di stagione, cereali, legumi e condito con un po’ di lardo a pezzetti.

Cosa mangia il pellegrino oggi?
Torniamo al campo delle ipotesi e delle divagazioni. Il pellegrino oggi è probabilmente più cosciente di attraversare confini che un tempo non erano percepiti come tali. Oggi, a causa delle identità nazionali, il pellegrino si sente a casa in città dove non è mai stato, e si sente in dovere di percepire differenze che forse non sono tali. Per esempio, un pellegrino di Lione potrebbe assaggiare con interesse esotico un vino giovane del Piacentino, senza poter accettare fino in fondo che si tratti sostanzialmente della stessa cosa del suo caro Beaujolais. Un pellegrino Inglese invece, nel suo sconfinato interesse per le culture altrui, troverà facilmente bacon & eggs in un qualche finto pub della bassa padana. Ma parliamo degli Italiani, in riflusso e no. Non c’è dubbio che ci sia molto campo all’ interno dell’ Italia per il turismo gastronomico tra Italiani e altri Italiani, grazie alla forte eterogeneità tra regioni. Per esempio un Siciliano in Lombardia probabilmente si sente come un Norvegese in Togo. Gli Italiani in riflusso a Londra invece sono tutta un’altra storia, in genere seguono un ciclo più o meno ellittico. Prima si innamorano delle cose più genuine e grezze, perfino disposti a leccare l’ olio bruciato che gocciola da un fish & chips. Poi cominciano a sentirsi un po’ a disagio e si autoproclamano ambasciatori dell’ Italia. Poi tornano a casa.
Torniamo di nuovo al filo del discorso. Oggi i pellegrini nel cammino per Roma godono di ben altri comfort e vivande, rispetto ai loro antenati. Una volta arrivati alla meta però si può fare un piccolo gesto riconciliante col passato, in pieno spirito di ospitalità e condivisione. In alcuni panifici della capitale italiana è possibile acquistare il cosiddetto “Pane dell’accoglienza”. Su ogni pagnotta è impressa la croce del “Tau”, simbolo dell’ordine religioso dei francescani e ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Questo pane può essere acquistato secondo la tradizione di Napoli per quanto riguarda il caffè, ovvero lasciando il conto pagato per il cliente successivo. Gli alimenti in cui è possibile imbattersi lungo la via Francigena in Italia sono ricchi e variopinti: formaggi stagionati, come il Parmigiano Reggiano a Parma e provincia o i pecorini toscani e romani. Salumi locali, come il prosciutto crudo a Parma, la coppa Piacentina, il salame di Felino, la mortadella di Bologna, il lardo di Colonnata, la finocchiona della Toscana. Per non parlare dei vini, come il Barolo piemontese, il Bonarda e il Barbera, presenti sempre in Piemonte ed Emilia, il frizzante Lambrusco emiliano ed il Sangiovese toscano, da cui ha origine il famoso Chianti.

Pietro Vesperoni

 

Fonti: Taccuini Storici, La Cucina Italiana, Musei del Cibo

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La Via Francigena dans les siècles. Histoire de pèlerins, d’auberges et de vin.

La Via Francigena part de Canterbury, en Angleterre, et traverse la France, la Suisse et l’Italie pour arriver jusqu’à Rome. Durant le moyen-âge, les plus grandes voies de communication de la méditerranée passaient à travers l’Italie, et jusqu’à la chute au XIV siècle de Saint Jean d’Acre, dernier rempart croisé en Orient, l’arrivée de la Via Francigena était à Brindisi et sur les côtes des Pouilles pour embarquer vers Jérusalem. A la fin du siècle, Jérusalem a été définitivement substituée par Rome comme destination principale de pèlerinage, et ceux qui y allaient prenaient le nom de « Pèlerin Romeo ». Le voyage du pèlerin, qui en théorie se faisait à pied, était tout autre que facile. Avant de se mettre en chemin, le pèlerin se réconciliait avec tout le monde, il faisait un testament et, fait plus rare, il payait ses dettes. En excluant les risques dérivant d’une société potentiellement violente et anarchique comme celle du moyen-âge, où il était courant de rencontrer des groupes de bandits et des bandes armées le long du chemin, les embûches les plus importantes venaient surtout de l’extrême fatigue de la longue marche à travers des lieux âpres et sauvages comme les cols Alpins et les Apennins, et naturellement, de la faim. Toutefois, le long de la route, surtout dans certains lieux comme les églises et les monastères, l’hospitalité était monnaie courante. On peut avoir un compte-rendu intéressant de cette vie dans les récits de Sigéric de Canterbury, pasteur anglais et archevêque de la ville homonyme, qui a vécu au X siècle et raconte le voyage de retour de Rome, après avoir reçu le parement liturgique des mains du pape Jean XV en personne.

La description du voyage est très précise, surtout en ce qui concerne les arrêts, où les pèlerins se nourrissaient, se reposaient et échangeaient les récits et les informations sur la route à parcourir. Dans ce compte-rendu, il fait aussi référence à la nourriture, surtout à base de pain, de soupes de légumes de saison (assaisonnées, les jours de chance, de quelques morceaux de viandes ou de lard de cochon) et de poisson bouilli. Dans ces récits, on s’aperçoit que la nourriture ne s’identifie pas au seul besoin physiologique de se nourrir, inhérent à chaque être vivant, mais comme l’expression culturelle des différents lieux et pays le long du chemin, symbole d’hospitalité et de partage humain. A travers la nourriture et les rites qui y sont liés, on peut comprendre une grande partie de l’esprit et la culture qui imprègnent en Italie le chemin de la Via Francigena.

Que mangeait le pèlerin au Moyen-âge ?

Il est difficile de s’imaginer ce que mangeaient les pèlerins de la Via Francigena au Moyen-âge, au temps où l’Italie n’était pas encore envahie par les tomates. Puis, il faut s’imaginer que les goûts et les préférences de ces pèlerins pouvaient être beaucoup plus hétérogènes qu’aujourd’hui, et que ce n’était pas une banalité pour l’aubergiste de les nourrir. Alors que cela pourrait sembler possible au jour d’aujourd’hui qu’un Anglais, un Français et un Italien puissent se mettre d’accord sur la signification de « pasta al dente » grâce à Wikipédia ou à d’autres catalyseurs de connaissances sans frontières. Au Moyen-âge, un individu grandissait avec peu de certitudes, transmises verbalement de génération en génération. D’autre part, on pourrait se tromper complètement dans cette analyse. Le concept de nation est une des obscénités du XX siècle, peut-être du XIX siècle. Avant le lancement de la télévision, les paysans de la plaine du Pô ne savaient même pas ce qu’était la pizza. Mais restons fidèles au premier point de vue, que les goûts et les préférences alimentaires des pèlerins de la Via Francigena puissent être beaucoup plus hétérogènes. Par exemple, en admettant que dans la zone de Parme, c’était déjà normal de saupoudrer n’importe quelle pitance de parmesan, attitude difficilement tolérée à Brindisi. Probablement, les pèlerins anglais étaient les seuls heureux alors, tout comme maintenant, de laisser l’Angleterre et de goûter les pitances un peu plus sophistiquées et savoureuses de celles disponibles sur l’île.

Mais les Français ? Les Français sont intéressants, parce qu’au jour d’aujourd’hui, il est presque impossible de trouver un Français en dehors de la France. Peut-être qu’au Moyen-âge, on voyait plus de Français hors de France ? Qui sait. Et les Italiens ? Si les pèlerins Italiens de la Via Francigena se limitaient à se rendre à Rome pour des raisons spirituelles comme ils le soutiennent, en théorie ils n’auraient pas besoin de quitter l’Italie. De fait, la Via Francigena provoquait et provoque un énorme flux d’Italiens dans le monde, à la recherche d’amour ou autre. Pourquoi y a -t-il plus d’Italiens que d’Anglais à Londres ? Mais je ne voudrais pas trop divaguer sur des thèmes qui pourraient sembler secondaires. Donc, revenons à notre point de départ pour ne pas perdre le fil du discours.        

La nourriture des pèlerins le long du chemin devait être facilement conservable et étroitement liée à la saison. Quand ils s’arrêtaient pour se restaurer, ils demandaient l’hospitalité ou logeaient dans des auberges, dans lesquelles on les nourrissait en fonction de ses possibilités économiques. La nourriture servie était très salée, pour une meilleure conservation et pour induire une grande soif aux voyageurs, ainsi l’aubergiste pouvait vendre une plus grande quantité de vin. A l’auberge, comme durant le voyage, les pèlerins préféraient se désaltérer avec le vin : l’eau pouvant être polluée et dangereuse pour la santé, alors que le vin, même de mauvaise qualité, contenait de l’alcool, qui garantissait une certaine asepsie. L’alimentation typique du pèlerin était à base de soupes comme par exemple : la paniccia à base de céréales et de légumes, il macco un velouté à base de légumes secs, mais aussi de charcuterie et de fromages. L’aliment le plus consommé était le pain, surtout dans sa variante noire, fait avec du froment, du seigle, du son de blé, de la farine de fèves et de châtaignes. Le premier témoignage écrit d’une recette pour les pèlerins remonte au XV siècle, quand un cuisinier d’origine allemande, Giovanni Bockenheym, écrivait dans son livre de recettes : « prend les fèves, lave-les bien avec de l’eau chaude et laisse-les ainsi toute une nuit. Puis fait-les bouillir dans de l’eau fraiche, émince-les bien et ajoute du vin blanc. Assaisonne avec de l’oignon, de l’huile d’olive ou du beurre, et un peu de safran – ce plat – sera bon pour les clercs errants et pour les pèlerins ». Un autre aliment diffus, surtout quand le pèlerin était accueilli dans les maisons privées, était le Pulmentum, ce genre de ragoût était fait avec des légumes de saison, des céréales, des légumes secs et assaisonné avec un peu de lard en morceaux.

Que mange le pèlerin aujourd’hui ?

Revenons au domaine des hypothèses et des divagations. Le pèlerin aujourd’hui est probablement plus conscient de traverser les frontières qui, autrefois, n’étaient pas perçues comme telles. Aujourd’hui, à cause de l’identité nationale, le pèlerin se sent à la maison dans des villes où il n’a jamais été, et il se sent obligé de percevoir des différences qui, peut-être, n’en sont pas. Par exemple, un pèlerin de Lyon pourrait goûter avec intérêt exotique un jeune vin de la zone de Piacenza, sans pouvoir admettre qu’il s’agit fondamentalement de la même chose que son cher Beaujolais. Un pèlerin Anglais au contraire, dans son immense intérêt pour les autres cultures, trouvera facilement du bacon et des œufs dans certains faux pubs de la plaine du Pô. Mais parlons des Italiens, en déclin ou pas. Il n’y a aucun doute qu’en Italie le tourisme gastronomique occupe une place importante, même entre Italiens, grâce à la forte hétérogénéité entre les régions. Par exemple, un Sicilien en Lombardie se sent probablement comme un Norvégien au Togo. Les Italiens à Londres, par contre, sont une toute autre histoire ; en général ils suivent un cycle plus ou moins elliptique. D’abord ils tombent amoureux des choses naturelles et brutes, jusqu’à être prêts à lécher l’huile brûlée qui dégouline d’un fish&chips. Puis ils commencent à se sentir un peu mal à l’aise et s’autoproclament ambassadeurs d’Italie, puis ils retournent à la maison.

Revenons à nouveau au fil du discours. Aujourd’hui, les pèlerins sur le chemin pour Rome jouissent de bien d’autres gîtes et couverts, par rapport à leurs ancêtres. Une fois arrivés à destination, on pourrait faire un petit geste pour se réconcilier avec le passé, dans un esprit d’hospitalité et de partage total. Dans certaines paneteries de la capitale italienne, on peut acheter le dénommé « Pane dell’accoglienza » (pain de l’hospitalité). La croix de « Tau » est tracée sur chaque pain, symbole de l’ordre religieux des franciscains et dernière lettre de l’alphabet hébraïque. Ce pain peut être acheté selon la tradition de Naples en ce qui concerne le café, c’est-à-dire en le payant pour le client suivant. Les aliments que l’on peut croiser sur la Via Francigena en Italie sont riches et variés : fromages affinés, comme le Parmigiano Reggiano à Parme ou le Pecorino toscan ou romain, charcuterie locale, comme le jambon cru de Parme, la coppa de Piacenza, le saucisson de Felino, la mortadelle de Bologne, le lard de Colonnata, la finocchiona de la Toscane. Sans parler des vins, comme le Barolo du Piémont, le Bonarda et le Barbera dans le Piémont et en Emilie, le Lambrusco pétillant d’Emilie et le Sangiovese toscan, duquel le célèbre Chianti est originaire.

Pietro Vesperoni