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Via Francigena

La ricostruzione della Via Francigena, di A. Conte

Redazione AEVF
Redazione AEVF

Dopo 1000 anni l’antico percorso di Sigerico è andato in gran parte perduto, soprattutto a causa dell’espansione della rete stradale. Quali criteri devono guidare la progettazione del nuovo itinerario? Dobbiamo rimanere fedeli ad ogni costo al tracciato originario anche a costo di convivere con il traffico automobilistico? O dobbiamo piuttosto ricreare le suggestioni dell’antico cammino, fatto di silenzio, introspezione e immersione nell’ambiente naturale?

L’antica Via

I Pellegrini che nel Medio Evo si mettevano in viaggio lungo la Via Francigena, diretti a Roma o a Gerusalemme, erano consapevoli di affrontare un’avventura che li avrebbe esposti a pericoli di vario genere e avrebbe messo a dura prova la loro forza di volontà e la loro resistenza fisica. Per loro il viaggio a piedi non era una scelta, le loro gambe erano l’unico mezzo di trasporto che potevano permettersi, e anche per chi non doveva valicare le Alpi per arrivarci, Roma era un traguardo lontano e ambizioso.

In genere non conoscevano i territori che avrebbero attraversato, probabilmente avevano ascoltato i racconti di altri viaggiatori, più o meno precisi e veritieri, dato che pochi interlocutori avrebbero potuto contraddire le loro probabili esagerazioni e vanterie.

Il cammino incominciava dalla porta di casa, da dove il pellegrino imboccava una delle innumerevoli vie per Roma, che convergevano verso meridione nella cosiddetta Via Francigena. Uno strano nome, questo, per una via, che invece di indicare una destinazione precisa definiva una provenienza incerta: il termine Francigena infatti indicava la Via che arrivava dal territorio dei Franchi, coincidente, all’epoca, con vaste aree dell’Europa settentrionale.

Il grande fiume

Mi piace pensare l’antica Via Francigena come un grande fiume, alimentato a nord delle Alpi da innumerevoli ruscelli e torrenti, che affluivano verso il placido percorso padano e convergevano finalmente in un itinerario pressoché univoco in corrispondenza del Passo della Cisa. Come i grandi fiumi cambiavano il proprio corso di stagione in stagione, e di anno in anno, così la Via Francigena cambiava nel tempo. Il tracciato in genere non era pavimentato, la Francigena utilizzava quel che restava delle antiche strade romane come l’Emilia, l’Aurelia e la Cassia, ma laddove queste erano ormai impercorribili sceglieva tracciati alternativi. Si viaggiava quindi lungo un fascio di percorsi più o meno agevoli, che convergevano in corrispondenza di punti nodali come città, stazioni di posta, conventi, luoghi di culto, valichi e guadi. Tra un nodo e l’altro il percorso poteva cambiare sensibilmente, anche a causa dei pericoli o dei disagi che il viandante poteva incontrare: briganti, paludi, tratti invasi dalla vegetazione, sentieri sconnessi o esposti, e altro.

Viaggiare oggi lungo la Via Francigena
Oggi il viaggio lungo la Via Francigena ha ovviamente un significato diverso rispetto al Medio Evo, ma anche sorprendenti analogie.

La differenza fondamentale precede il viaggio stesso, e consiste nella scelta di camminare.

Se agli antichi pellegrini avessero prospettato l’opportunità di accorciare il proprio viaggio utilizzando mezzi di trasporto più veloci e sicuri, la gran parte di loro avrebbe probabilmente accettato di buon grado. Ma non avevano altra possibilità che viaggiare a piedi. Per questo motivo il loro itinerario doveva essere il più lineare e il più breve possibile, perché dovevano arrivare rapidamente a destinazione.

Il pellegrino moderno può arrivare alla meta in poche ore, se lo desidera, utilizzando i mezzi di trasporto che il progresso gli mette a disposizione. La gran parte dei pellegrini al giorno d’oggi si muovono quindi con autobus, treni, automobili, aerei.
Il pellegrino a piedi decide invece consapevolmente di viaggiare con lentezza. E già questa scelta ne fa un pellegrino sui generis, nel cui immaginario il viaggio prevale sulla meta. Che esiste ancora, (altrimenti non si potrebbe nemmeno parlare di pellegrinaggio), ma più importante è il cammino che la raggiunge.

La comprensione e l’accettazione di questo diverso punto di vista sono fondamentali per affrontare il viaggio a piedi lungo la Francigena: la mano dell’uomo si è accanita come un’alluvione sul nostro placido fiume, e ne ha stravolto il corso. Gli antichi tracciati romani, con i loro rettilinei infiniti, sono stati coperti di asfalto, e sono percorsi da un traffico automobilistico rumoroso, inquinante e pericolosissimo per chi cammina.

Come l’antico pellegrino allungava il percorso per evitare i boschi infestati dai banditi, il moderno viandante è costretto a zigzagare attorno alla retta via, su cui sfrecciano tonnellate di lamiera lanciate ad alta velocità.

La ricostruzione della Via

Non si può quindi parlare della riscoperta di un antico percorso, bensì della sua ricostruzione in chiave moderna. L’antica Via Francigena, è ormai perduta. I luoghi che attraversava sono cambiati profondamente, talvolta hanno mantenuto intatto il loro antico fascino, ma spesso sono stati stravolti e devastati.

Persino la meta è cambiata: la Basilica che i pellegrini medievali ammiravano da Monte Mario è stata abbattuta per costruirne una più grande e maestosa, al passo con il proprio tempo. Allo stesso modo la moderna Via Francigena deve essere ridisegnata per tener conto dei cambiamenti avvenuti in 1000 anni nella viabilità e nel paesaggio.

Ciò non deve significare lo stravolgimento del percorso, né può giustificare una certa disinvoltura nelle deviazioni “turistiche” che di tanto in tanto vengono proposte.

Non si deve accantonare il rigore storico, né svilire il profondo significato spirituale e introspettivo del cammino verso Roma; bisogna però comprendere e accettare il punto di vista e le esigenze del moderno pellegrino a piedi. Gli antichi borghi, le incantevoli pievi, le maestose cattedrali, gli ospitali dimenticati, le mansiones citate negli itineraria, i diari di viaggio medievali, devono essere i punti fermi del percorso, e devono essere salvaguardati e valorizzati.

La stessa cura deve però essere dedicata ai pellegrini, alla salvaguardia della loro sicurezza, alla piacevolezza del loro viaggio. Se il loro deve essere – come nel Medio Evo – un viaggio spirituale e introspettivo, il percorso dovrà il più possibile ricreare al giorno d’oggi le condizioni affinché ciò avvenga. Guai a chi si scosta dall’antico percorso della Via Cassia tra Montefiascone e Viterbo, dove si cammina per chilometri lungo l’antico basolato. Ma non si può usare lo stesso rigore filologico a sud di Monterosi, dove ancora oggi le guide più utilizzate dai pellegrini descrivono un itinerario che rispetta il tracciato dell’antica consolare persino in un tratto in cui questa è stata rimpiazzata da una superstrada, che i camminatori devono percorrere nella corsia di emergenza.

Oggi dobbiamo ricostruire le suggestioni dell’antico pellegrinaggio, le atmosfere rarefatte, la profondità degli incontri. Dobbiamo riscoprire un ambiente naturale dimenticato, valorizzare i numerosi paesaggi che lungo la Via Francigena sono sopravvissuti agli assalti della modernità.

Dobbiamo però usare un nuovo filo per legare tra loro le numerose perle artistiche, religiose, culturali che punteggiavano l’antico cammino. E se il nuovo filo sarà un pochino più lungo di quello antico, poco male: molti tratti della Via Francigena sono così belli che vorresti che non finissero mai.

Martedì, 10 Novembre 2009

Alberto Conte

Copyright 2009

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulla newsletter del sito www.francigenalibrari.beniculturali.it, il nuovo portale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali dedicato alla Via Francigena.

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